TEMPO LIBERO E DOPOLAVORO NELLE MINIERE SARDE

TEMPO LIBERO E DOPOLAVORO NELLE MINIERE SARDE
La nascita e il radicarsi della gita sociale tra i minatori di Monteponi

Giampaolo Atzei[1]

La mine de Monteponi, une des plus grandes de la Sardaigne, a été dès le XIXe siècle au centre d’un progrès culturel, qui a rejoint son apogée dans les années 1930 : la programmation et la mise en valeur du temps libre des mineurs passa à travers la fondation d’une équipe de football, la participation à plusieurs compétitions sportives et, surtout, l’organisation de voyages en Sardaigne et à Rome, à l’occasion du Jubilée de 1933.

Inquadrata nel programma di educazione nazionale elaborato durante il regime fascista, l’istituzione dell’Opera Nazionale Dopolavoro ha rappresentato un’importante e decisiva modalità di costruzione e di fruizione del tempo libero in Italia, facendo propri elementi e istanze già esistenti nella società italiana del primo dopoguerra.

Sin dalla fine dell’Ottocento, l’Italia – e più in generale l’intera società europea – aveva difatti conosciuto un'evoluzione, se non una vera e propria riscrittura, del concetto di tempo libero e di loisir, fortemente legato ad una organizzazione sempre più industriale e tecnica di una collettività che stava gradualmente abbandonando ritmi e cadenze ereditate dalla civiltà contadina. L’introduzione delle teorie scientifiche sul tempo del lavoro stava profondamente modificando la percezione stessa del tempo libero e del concetto di piacere e benessere, riempiendo di contenuti e consumi inediti i tempi domestici. Si trattava di un atteggiamento che permeava trasversalmente ampi strati delle popolazioni residenti nelle aree urbane ed industriali, manifestandosi con la diffusa formazione di società ginnastiche e circoli sportivi sia di estrazione borghese che operaia, ma che non tralasciò di penetrare anche in contesti più rurali e distanti, prima di conoscere i caratteri del cameratismo espressi dal fascismo.

In una regione profondamente arretrata dal punto di vista economico e sociale come la Sardegna dell’Ottocento, quasi un mondo a sé nel cuore del Mediterraneo, percepita come “l’Africa in giardino” dell’ancor giovane Regno d’Italia, tale evoluzione parve ancora più brusca e dirompente, specialmente nelle aree a maggiore apertura verso l’esterno, ovvero quelle minerarie dell’Iglesiente, nel sud-ovest dell’isola.

In queste zone, l’intervento del grande capitale continentale a seguito del boom minerario di metà Ottocento aveva portato a contatto uomini e culture di varia estrazione e provenienza, gettando i presupposti per una vera mutazione antropologica, che portò quest’area a distinguersi da tutto il resto della Sardegna, al punto da venire considerata più che una porzione dell’isola, piuttosto una proiezione dell’Europa della rivoluzione industriale nel cuore del Mediterraneo.

Fu infatti solo nei monti dell’Iglesiente che la Sardegna conobbe la propria rivoluzione industriale: basti pensare che ai principi del XX secolo l’isola forniva all’Italia la maggior parte delle produzioni metallifere (il 98,7% della produzione nazionale di piombo e l’85% di quella di zinco) e che nel 1913 l’industria mineraria, distribuita in 357 permessi e circa 80 miniere prevalentemente ubicate nell’Iglesiente, dava lavoro a 15.000 operai. Tutto intorno vi era ancora un’agricoltura povera affiancata da un modesto settore industriale, tant’è che questo, eccezion fatta per il comparto minerario, veniva definito “scarsissimo e di poca importanza” da un opuscolo della Camera di Commercio di Cagliari edito nel 1924[2]].

Le condizioni di vita dei lavoratori delle miniere sarde non erano oggettivamente buone e le agitazioni operaie furono frequenti per tutti i 150 anni di vita della moderna industria mineraria, il cui computo può farsi partire dal 1848, anno in cui venne fondata la Società di Montevecchio. Uno dei primi grandi scioperi si ebbe a Buggerru nel 1904 ed ebbe una fortissima eco nazionale; il clima di agitazione che ne seguì, anche al di fuori dell’ambiente strettamente minerario, portò nel 1906 all’istituzione di una Commissione Parlamentare d’Inchiesta. Quest’Inchiesta ebbe modo di riscontrare i numerosi problemi del mondo minerario: contratti di lavoro assenti, abitazioni inadatte, tutela sanitaria formale. Tuttavia, la sua pubblicazione nel 1911 dimostrò come le condizioni di vita dei minatori fossero comunque superiori a quelle dei braccianti agricoli: gli addetti alle miniere erano difatti considerati come dei privilegiati, potendo disporre di salari sostanzialmente regolari, oltre che mediamente più alti che nel comparto agro-pastorale, e di una serie di misure assistenziali altrove inesistenti.

Il carattere distintivo di queste peculiarità maturò ulteriormente con lo sviluppo delle garanzie legislative e con l’introduzione dei nuovi sistemi di organizzazione del tempo di lavoro. Infatti, sul principio degli anni venti del XX secolo, si impose anche nelle miniere sarde una nuova strategia nei rapporti tra società e dipendenti; sulla scorta dell’esperienza prodotta nei difficili anni della Grande Guerra, alle società appariva sempre più necessario disporre di manodopera specializzata. A tal fine si decise di favorire la residenza in miniera delle maestranze, evolvendo positivamente i servizi che venivano disposti nei villaggi minerari, quali spacci aziendali, ospedali, chiese, scuole e sviluppando pure l’edilizia abitativa operaia.

A queste innovazioni non sfuggirono i ritmi di lavoro, con l’introduzione del taylorismo in miniera sotto la forma del sistema Bedaux. I ritmi della miniera entrarono così nella vita di intere famiglie, nel tempo del lavoro come nel tempo del riposo. Difatti

il tayloristico modo ottimale di lavorare implicava un modo ottimale di vivere, la formazione di un’identità caratterizzata da abilità, regole, valori inerenti ai diversi ambiti dell'esistenza quotidiana. Alla nuova organizzazione del lavoro era connessa un’istanza di controllo complessivo, tesa a rendere strumentale alla produzione qualsiasi tipo di esperienza o interesse e a promuovere il consenso sulle trasformazioni e sulle scelte aziendali[3].

Fu così che la costruzione del consenso aziendale dovette passare per un’organizzazione del tempo che andava al di là dei cronometraggi del semplice tempo di lavoro, ma investiva necessariamente la completa sfera temporale dell’individuo. L’elevazione sociale dell’operaio finì allora con il coincidere con un’esistenza finalizzata al lavoro, orientata al risparmio e fondata sulla vita di famiglia. La messa a punto di un’immagine del minatore come lavoratore modello venne pertanto formulata nell’ambito di un’azione disciplinatrice rivolta a tutti gli aspetti della vita. Parallelamente all’evoluzione dei tempi di lavoro nell’industria, e nelle miniere sarde nel nostro particolare, si andava realizzando un processo di codificazione pure dei tempi del non lavoro, coerentemente a quei programmi di ottimizzazione del lavoratore di cui si è detto sopra.

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Gita a Carloforte (1930)
Bilancelle cariche di dopolavoristi della Monteponi verso l’isola di San Pietro

All’atto pratico, lo stesso modello di minatore aveva conosciuto una profonda evoluzione. Rimaneva solo un retaggio dei primi anni del boom minerario ottocentesco la figura del minatore-contadino, che al termine del lavoro in galleria passava alla campagna. Vari fattori contribuirono a ciò: prima di tutto l’elemento locale aveva ormai acquisito quelle competenze in origine appannaggio delle maestranze d’importazione, aspetto che aveva peraltro condotto al crollo dell’immigrazione operaia nell’Iglesiente. In secondo luogo si consolidarono sul territorio una serie di insediamenti abitativi che portarono il lavoratore a vivere praticamente a bocca di miniera. Per giunta in questi insediamenti si svilupparono per il minatore e la sua famiglia opportunità ricreative ed intellettuali che non trovavano riscontri eguali nei vicini paesi e villaggi, le cui amministrazioni pubbliche non disponevano certo delle capacità organizzative e delle disponibilità finanziarie delle società minerarie. Ma i frutti di questo progresso furono pure altri, e non sempre funzionali all’ottica aziendale, se si pensa allo sviluppo avuto dal movimento socialista tra gli addetti del comparto estrattivo, a quello delle società di mutuo soccorso ed al complesso delle dinamiche di classe innescate dalla presenza del grande capitale, tutti fenomeni che incisero profondamente sul dato antropologico del territorio con significative ricadute di lungo periodo.

In termini più generali, avendo come riferimento il complesso delle società industriali occidentali, era ormai un dato consolidato che gli operai più lontani dal vertice della piramide sociale avessero preso coscienza del diffuso progresso culturale, rendendo insufficiente un sistema di ricreazione arcaico, fondato sul calendario religioso e sovente marcato da riscontri di classe d’antico regime. Inoltre, di pari a ciò, le conquiste del mondo del lavoro ed il progresso legislativo sul fronte sociale si concretizzarono in una lenta ma costante spinta che portò l’orario di lavoro ad essere sempre più ridotto, sia nella giornata lavorativa che nel corso dell’anno, grazie all’introduzione dei riposi festivi e delle ferie pagate, con la conseguenza di impiegare il tempo libero in forme più adeguate al nuovo clima di progresso scientifico e di costume. In poco meno di cent’anni erano infatti apparsi il teatro di varietà, il cinematografo, lo sport ed il turismo di massa, quest’ultimo letteralmente esploso grazie all’evoluzione delle reti di comunicazione ed all’invenzione del motore a scoppio. Di pari, emergeva  il moderno concetto di tempo libero: questo si qualificava sempre più come un monte di ore sottratte al tempo di lavoro, sino a giungere alla teoria della tripartizione della giornata lavorativa in tre terzi di 8 ore: 8 ore per lavorare, 8 per ricrearsi, 8 per dormire.

In Italia, dove nel 1923 era stata adottata la giornata lavorativa di otto ore e nel 1926 sarebbe giunto il riconoscimento come festività civili anche delle ricorrenze religiose previste dal diritto canonico, nonché l’istituzione di un periodo di riposo minimo annuale di 10 giorni per gli impiegati e di 6 per gli operai, il processo di razionalizzazione del tempo libero da parte delle aziende e dello Stato si completò con la nascita formale dell’istituto del Dopolavoro. Ciò avvenne ad opera del neonato governo di Mussolini – già intento ad affrontare la riforma dell’orario di lavoro secondo i principi espressi dalla Convenzione di Washington dell’Ufficio Internazionale del Lavoro – il quale, con l’emanazione del Decreto Legge 1° Maggio 1925, definì la nascita ufficiale dell’Opera Nazionale Dopolavoro (OND)[4]. Nel 1927 l’OND arrivò a contare 2.800.000 aderenti, il doppio degli iscritti al Partito Nazionale Fascista, e si presentava come la più grossa organizzazione del Regime. In quegli anni vennero fondati numerosi dopolavori aziendali, tra i quali spiccava a livello nazionale quello del Lanificio Marzotto, che promosse la creazione di un villaggio operaio per 1.200 dipendenti, completo di spacci aziendali, piscina coperta, clinica e chiesa. Analogamente anche nel settore pubblico, lo Stato introdusse in alcune sue grandi aziende il dopolavoro: sorsero così il dopolavoro ferroviario, il dopolavoro postelegrafonico, il dopolavoro dei monopoli di Stato ed il dopolavoro coloniale.

***

In questo quadro nazionale, per quanto attiene al particolare della Sardegna che qui si descrive, un ruolo speciale se lo ritagliarono la Società di Monteponi e la città di Iglesias, di fatto la capitale della Sardegna mineraria, sede degli uffici del Distretto Minerario e della Scuola Mineraria per capi minatori e capi officina, mentre la Società di Monteponi era attiva nella coltivazione delle omonime miniere alle porte della città sin dal 1850[5].

Nell’arco di pochi decenni,  si era imposta nella cornice complessiva dell’economia isolana come una delle realtà più mature e dinamiche, capace di superare, seppure con notevoli sacrifici, anche le crisi cicliche che flagellavano il mercato dei metalli.  Su queste basi, nell’ambiente minerario iglesiente si svilupparono, a godimento esclusivo degli addetti del settore estrattivo, una serie di opportunità di impiego del proprio tempo libero che si richiamavano direttamente a simili esperienze dell’Europa continentale, precorrendo così anche la volontà disciplinatrice del tempo del non lavoro che il fascismo pianificò in seguito con l’OND. La facilità di accesso alla pratica sportiva per sé e per i propri figli, la possibilità di viaggiare per piacere, l’occasione di leggere gratuitamente un libro o di assistere ad una proiezione cinematografica a prezzi modici, l’avere un giocattolo da regalare per la Befana ai bambini, erano tutte esperienze assolutamente inusuali nel quadro generale della realtà operaia sarda dell’epoca: eppure, a partire dal primo dopoguerra, i dipendenti della Società di Monteponi – alla pari anche di altre aziende minerarie – godettero di simili opportunità, e ciò fece di loro un preciso gruppo di privilegiati, protagonisti di un’isola culturale virtualmente sorta nell’ambito della più vasta Isola geografica della Sardegna.

Pertanto, non è un azzardo affermare come essi finirono con il divenire una vera élite, radicalizzando così una specificità già maturata nel tempo sia nei confronti del contesto sardo in generale, che di quello minerario nel particolare. Quando poi, in seno alla Società di Monteponi si sviluppò la più importante realtà dopolavoristica sarda del ventennio fascista, il carattere elitario che contraddistingueva gli appartenenti all’ambiente minerario iglesiente raggiunse inevitabilmente il suo apice.

Difatti, sorgente di tutta quella fenomenologia di occasioni che distinsero i dipendenti della Società di Monteponi fu essenzialmente il dopolavoro aziendale[6]. In realtà, la Società di Monteponi non provvide da subito a costituirne uno, ma indusse la nascita di un’associazione su base volontaria, sostanzialmente un club, che portasse il nome di santa Barbara, patrona dei minatori, e che si facesse carico di “continuare le tradizioni della Confraternita di Santa Barbara, assistere gli operai nelle ore del dopo lavoro ed occuparsi del miglioramento delle loro condizioni fisiche e spirituali”[7].

Su queste basi, il 21 giugno 1925, 138 soci fondatori decretarono la nascita di un sodalizio col nome di “Associazione Santa Barbara tra i dipendenti della Società di Monteponi”. Come venne stabilito dallo Statuto i soci del nuovo sodalizio si dividevano in effettivi ed aggregati: scorrendo le qualifiche dei soci fondatori si scopre come una larga maggioranza di essi fosse di condizione operaia, per quanto non mancassero anche i dirigenti e gli impiegati della Società di Monteponi, primo tra tutti il direttore della miniera di Monteponi Andrea Binetti, nominato presidente del nuovo sodalizio. Dall’inizio degli anni Trenta l’associazione cambiò la propria denominazione in Associazione Erminio Ferraris – Dopolavoro Monteponi, in memoria dell’ingegnere Erminio Ferraris, già direttore della miniera di Monteponi e poi presidente dell’omonima Società, deceduto a Zurigo nel 1928.

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, si ebbe un rallentamento delle attività dopolavoristiche, ma non la loro scomparsa. Perciò, nonostante la dissoluzione del fascismo di cui era emanazione, l’OND riuscì a resistere allo sfascio generale; anche ad Iglesias l’attività del Dopolavoro Monteponi non aveva subito interruzioni, avendo comunque ridimensionato le proprie iniziative in conseguenza del particolare momento. Ciononostante la sede e le sezioni funzionavano regolarmente ed in esse si accoglievano anche lavoratori non tesserati. Dal gennaio 1945 l’OND cambiò denominazione in ENAL (Ente Nazionale Assistenza Lavoratori) ed allo stesso modo i dopolavoro aziendali vennero rinominati CRAL (Circoli Ricreativi Aziendali per i Lavoratori). Nell’autunno del 1945, nella miniera di Monteponi sorse il problema della sopravvivenza del vecchio dopolavoro. Un referendum tenutosi nel dicembre seguente sancì lo scioglimento del sodalizio, tuttavia l’Associazione Erminio Ferraris venne ricostituita l’8 febbraio 1946, permettendo la sopravvivenza delle provvidenze dopolavoristiche pure nel secondo dopoguerra.

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Gita a Carloforte (1930)
Bilancelle cariche di dopolavoristi della Monteponi verso l’isola di San Pietro.

Tra le sue varie attività, il Dopolavoro dedicò le maggiori attenzioni all’offerta sportiva ed a quella culturale, aprendo regolarmente al pubblico la propria ricca biblioteca e promuovendo anche attività teatrali e musicali, prima di tutto attraverso l’opera della propria banda musicale, divenuta in pratica la nuova banda cittadina.

Oltre alla spaziosa sede centrale di Iglesias, vennero aperte delle sezioni staccate nei paesi vicini e nei villaggi minerari, cercando così di garantire ovunque una dotazione minima di una sala per lettura con emeroteca ed una variabile dotazione bibliografica ed una sala per il gioco, dove nelle condizioni più fortunate si poteva giocare al biliardo, salvo ripiegare su carte, dama o tombola nei casi meno agiati.

Importante e preziosa era la dotazione del Campo sportivo del dopolavoro, che sorgeva presso il primo gruppo delle Case Operaie di Iglesias, costruite lungo la Via delle Miniere. La costruzione dello stadio determinò da un lato l’incremento della pratica attiva dello sport, ma soprattutto, numeri alla mano, aprì alla città di Iglesias occasioni di ricreazione passiva e di spettacolo prima sconosciuti. In modo particolare, gli incontri di football erano gli eventi più seguiti e tra gli spettatori non mancava la componente femminile, che, per quanto non troppo consistente, veniva spesso ricordata nelle cronache della stampa sportiva per il particolare calore ed il colore con cui seguiva i match dei propri beniamini.

A parte i risultati conseguiti sul campo, ovvero alcuni titoli di campione regionale negli anni Trenta e la partecipazione al campionato Interregionale del 1929/30, il gioco del calcio rappresentò per la città e la squadra un’eccezionale occasione di apertura all’esterno[8]. Grazie alla rete sovraregionale ed europea in cui era inserita la Società di Monteponi, anche per i suoi atleti il confronto si aprì ad occasioni di riconosciuta gratificazione sportiva, quali le amichevoli con la squadra B del F.C. Bologna (21 aprile 1928) e la squadra svizzera del Zurigo (26 maggio e 1° giugno 1929). Tuttavia, spetta alla partita giocata il 17 aprile 1927 contro la squadra aziendale della FIAT un’attenzione particolare, perché questa si tenne nell’ambito di una gita premio organizzata dall’azienda automobilistica: la FIAT aveva difatti organizzato un torneo aziendale tra le dieci squadre in attività nei propri settori (automobili, grandi motori, siderurgia, acciaio, etc.) ed alla squadra vincente venne concessa una gita all’estero. Nell’isola vennero invece i migliori giocatori selezionati tra le rimanenti classificate e questi disputarono in totale tre amichevoli: ad Iglesias, Cagliari (contro l’Amsicora) e Sassari. Sulla scia della FIAT anche la Lancia si interessò ad una tournée in Sardegna, ma l’idea non ebbe seguito.

Dal canto suo, per quanto con le debite proporzioni, la proiezione ideale di un sodalizio che premiava il successo dei suoi atleti con un viaggio, e che del viaggio stesso faceva occasione per diffondere l’idea sportiva, appartenne anche al Gruppo Sportivo Monteponi. Difatti, la fondazione della sezione sportiva dell’Associazione mineraria accompagnò il rilancio dell’educazione fisica nella città di Iglesias con uno sforzo missionario esteso anche al territorio, giacché le squadre iglesienti, analogamente a quanto facevano analoghi sodalizi quali l’Amsicora di Cagliari, organizzò trasferte sportive di propaganda nel circondario iglesiente, spargendo soprattutto il seme del gioco del calcio, senza però disdegnare l’atletica, la boxe ed il ciclismo.

Alla pari di questi aspetti, il Dopolavoro Monteponi curò da subito anche l’attività escursionistica e turistica dei propri soci, inquadrando le proprie iniziative secondo le intenzioni più generali che arrivavano dal Regime, secondo le quali

l’escursionismo è raccomandabile perché insegna a conoscere e perciò ad amare le bellezze del proprio paese, abbatte i pregiudizi provincialistici, il gretto campanilismo; dà il senso pratico della geografia nazionale, illumina le coscienze sui problemi regionali.

L’escursionismo non solo è utile allo sviluppo fisico, all’istruzione, all’educazione, ma è anche una meravigliosa scuola e palestra morale, in quanto chè insegna a dominare il carattere, ad avvezzarsi alle privazioni, a sfidare i pericoli, ad essere prudenti, previdenti, impavidi, ad agguerrirsi nelle piccole battaglie per le future e più grandi lotte della vita.

L’escursionismo organizza gite di carattere nazionale, regionale e locale, mercè speciali accordi con le Ferrovie di Stato, Società tranviarie e Automobilistiche, allo scopo di far conoscere ai lavoratori le bellezze naturali, artistiche e storiche del nostro paese, imprimendo a tali gite, un carattere essenzialmente ricreativo ed istruttivo[9].

Al netto della retorica del periodo, le gite del Dopolavoro hanno segnato una trasformazione del costume turistico italiano, evolutosi dai tratti borghesi ed elitari del Touring Club a quelli popolari e di massa dei treni dei dopolavoristi in gita.

Tra il 1926 ed il 1939 gli operai minerari ebbero modo di partecipare a tredici gite sociali organizzate nell’ambito delle attività escursionistiche dell’OND. I viaggi avvenivano di norma nei giorni festivi, di modo che non intralciassero l’attività lavorativa dei partecipanti, e la coincidenza della giornata festiva con la trasferta comportava sempre la partecipazione al precetto domenicale presso la chiesa della meta prescelta. I mezzi di trasporto erano sempre noleggiati e mai di proprietà della Società di Monteponi. Alle autovetture si preferiva, dove possibile, l’uso del treno: la disponibilità del treno a prezzi popolari secondo le facilitazioni dell’OND influiva sulla data e l’effettuazione dell’escursione.

La partecipazione era subordinata al pagamento di una quota di iscrizione, il cui pagamento poteva essere rateizzato secondo particolari condizioni dettate all’occasione: la quota di iscrizione era sempre comprensiva del pasto, offerto dall’organizzazione sotto forma di colazione fredda o come buono pasto, da consumarsi presso ristoratori convenzionati e secondo una precisa turnazione. Ai gitanti veniva sempre consegnato un tesserino nominale di riconoscimento, in cui veniva indicato il ristorante concordato presso il quale andava consumato il pasto, ed a cui era allegato il tagliando da esibire per la distribuzione della colazione: nel retro era solitamente stampato il programma del viaggio. Di solito il periodo prescelto per le escursioni era la tarda primavera e nelle località meta di gita era prassi incontrare le autorità del posto e visitare i locali stabilimenti industriali, in ossequi alle disposizioni dell’OND.

Le mete delle escursioni furono sempre scelte nell’Isola, solitamente nel raggio di circa 100 km da Iglesias – come nel caso di Cagliari (12 dicembre 1926), Siliqua (20 maggio 1928), Sant’Antioco (5 maggio 1929), Carloforte (18 maggio 1930), Bacino idroelettrico sul Tirso (1° giugno 1930), Mussolinia (8 novembre 1931), Carloforte (4 giugno 1932), Sanluri, San Gavino e Villacidro (8 luglio 1934), Oristano (5 giugno 1937), Carbonia e Sant’Antioco (5 giugno 1938) – con eccezioni nel caso delle gite a Sassari (8 settembre 1935), Laconi, Aritzo e Macomer (18 giugno 1939) e dell’unica escursione nel Continente: la gita a Roma, Napoli e Pompei (28 giugno / 4 luglio 1933) organizzata dall’Unione Provinciale di Cagliari della Confederazione Fascista dell’Industria ed a cui il Dopolavoro Monteponi partecipò con 135 soci. I gitanti, ad esclusione dei dirigenti talvolta accompagnati dalle famiglie, erano esclusivamente dipendenti della Società e generalmente solo uomini: la partecipazione fu sempre consistente e raggiunse picchi massimi nelle escursioni del 1935 e del 1937, a cui parteciparono rispettivamente  647 e 793 dopolavoristi.

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Gita a Siliqua (1928)
Sul colle del castello di Acquafredda

Alla pari di vecchie e struggenti foto in bianco e nero, di quelle gite e trasferte rimangono le cronache apparse sulla stampa locale, dalle quali – al netto dello stile retorico dell’epoca –traspare comunque l’attenzione e la dimensione sociale di cui esse erano divenute  protagoniste. Così descriveva il cronista locale la gita a Cagliari del dicembre 1926, che registrò l’adesione di 387 gitanti:

L’ARRIVO – Domenica, alle ore 8,15, con treno espressamente allestito, sono giunti nella nostra Città oltre quattrocento operai del Dopolavoro Monteponi, compresa una rappresentanza della Società di Santa Barbara.

L’imponentissimo corteo dei gitanti, con alla testa la banda del comune, era accompagnato dal capo dell’Amministrazione Civica d’Iglesias, avvocato Vincenzo Murroni, dall’avv. Gavino Falchi, membro della Pentarchia e consulente della Miniera di Monteponi; dal Direttore generale ing. Andrea Benetti; dal Direttore ing. Musiu; dall’ing. Rolan; dal Direttore della Cooperativa sig. Wultur; da tutti i capi servizio; dal Direttore del Seminario di Iglesias Mons. Can. Bernardi; dal Vice Presidente della Società Santa Barbara sig. Vittorio Porcu e dalle famiglie di quasi tutti i dirigenti.

Alla stazione erano a ricevere i forti lavoratori la fanfara del Dopolavoro Ferroviario e il rappresentante di questo cav. Piga: una rappresentanza della Società Ginnastica Amsicora, con il labaro sociale ed il Consiglio di Amministrazione al completo, e molti amici e parenti.

L’entrata del treno sotto la tettoia della stazione è salutato dall’inno “Giovinezza” e da frenetici applausi, cui rispondono dai finestrini i gitanti.

IL CORTEO – Lasciata la stazione, la folta massa di lavoratori, si raduna in via Roma, ove avviene l’inquadramento. Subito dopo la colonna si muove, con le due bande in testa che suonano ininterrottamente gli inni fascisti. […].

IL RICEVIMENTO AL PALAZZO CIVICO – Quivi i graditi ospiti vengono ricevuti nell’ampio e sfarzoso salone dei ricevimenti, dove il cav. Uff. Tredici, porta loro il saluto della nostra città. […]. Nei visi abbronzati e temprati alla fatica dei minatori egli rivede gli ardenti ed appassionati fascisti della prima ora, allorquando, impavidi e a tutto votati sgominarono l’altezzoso branco di rossi che avevano per quattro lustri martoriato e dilaniato tutta la regione dell’Iglesiente. […]. Finisce il breve ed inspirato saluto col grido di Viva Iglesias. Gli ospiti rispondono con calorosi evviva alla Città di Cagliari ed al suo Capo. […].  Alle 11.30 i gitanti si radunano nuovamente al Palazzo Civico, e da qui inquadrati e preceduti dalla banda comunale d’Iglesias, si recano al Santuario di Bonaria, per assistere alla celebrazione della messa, officiata da S. E. Mons. Arcivescovo.

AL SANTUARIO DI BONARIA – Quivi giunti la vasta Basilica viene subito letteralmente gremita. Nel presbitero erano i dirigenti la comitiva con i vessilli sociali. Durante la celebrazione sono state cantate le note canzoni popolari religiose. All’Evangelo, il celebrante ha pronunziato parole d’occasione, dichiarando, tra l’altro, di ascrivere a gran fortuna di potersi trovare in mezzo ad un accolta così numerosa e simpatica per adempiere al suo ministero pastorale, loda i dirigenti e soprattutto l’istituzione del Dopolavoro, di cui rileva i benefici ed i vantaggi, d’ordine materiale e morale, e dopo aver espresso il suo compiacimento per lo spettacolo edificante di ordine e di pietà data dalla massa operaia, ricongiunge la storia del Santuario con la Storia di Iglesias, inneggiando ai migliori destini della Patria. Alla fine della messa S. E. ha impartito la benedizione, accordando le indulgenze con le formule di rito. I convenuti hanno poi esternato i sentimenti di devozione filiale al venerato Simulacro. Dopo che la cerimonia ha avuto termine i gitanti rientrano in città e si recano alla palestra Municipale, dove, alle 13.45, fra le più lieta armonia e fraterno cameratismo, consumano la frugale colazione.

L’ESIBIZIONE AL CAMPO SPORTIVO – Com’era stato preannunziato in programma, alle ore 16, nel campo sportivo dell’Amsicora, si sono incontrate in un match di football le squadre dell’“Amsicora” e quella del “Gruppo Sportivo Monteponi”. La squadra di Monteponi, che si era imposta all’attenzione degli appassionati per le sue recenti vittorie ottenute sul suo campo, era attesa alla prova decisiva e ciò ha servito a richiamare sul campo dell’“Amsicora” un pubblico che gremiva come non mai tutti i vari ordini di posti. […].

LA PARTENZA – Terminata la partita sportiva, gli ospiti graditissimi, fatti segno a festosissime acclamazioni, e accompagnati da una folla grandissima di cittadini e dalle rappresentanze delle nostre organizzazioni che li avevano già accolti al loro arrivo, si recano alla stazione per restituirsi alla loro città. Al momento della partenza i gitanti raccolgono ancora il saluto ospitale della cittadinanza cagliaritana, e mentre il treno si muove e si allontana le note degli inni che le fanfare fanno echeggiare si confondono con gli evviva e gli alalà dei partenti e dei rimasti. […][10].

La seconda gita si svolse nel maggio 1928 ed ebbe per meta Siliqua, paese della provincia di Cagliari, posta a metà strada ferrata sulla ferrovia tra il capoluogo sardo ed Iglesias, celebre per i resti del castello del Conte Ugolino, cantato da Dante nell’Inferno della Divina Commedia. Questa la cronaca di quella trasferta apparsa sulla stampa:

Il Dopolavoro Monteponi ha organizzato una riuscitissima gita a Siliqua. Vi hanno preso parte circa 400 persone, compresa la Banda “Giuseppe Verdi” di Iglesias. Tra i gitanti notammo l’ing. Binetti, Direttore della Miniera della Monteponi, il prof. Antonio Saba, Preside del Liceo Scientifico di Iglesias, l’ing. Rolandi, i ragionieri Wuerth, Pissard, gli impiegati ed i capi servizio della Monteponi e tantissimi altri. Scopo della gita era la visita al Castello dell’Acqua Fredda, che dista sette chilometri dal paese. Alla stazione di Siliqua a ricevere gli ospiti, si recarono tutte le personalità del paese con la musica e che s’incolonnarono con i gitanti e si recarono al Castello. […]. Dopo la visita, in Siliqua venne celebrata una Messa dal prof. Saba, alla quale assistettero tutti i gitanti. A mezzogiorno si consumò la colazione all’aperto, e nel pomeriggio venne disputata una partita amichevole di calcio a scopo di propaganda. […]. La sera, col treno delle 19.50, i gitanti, nel massimo ordine e al suono di “Giovinezza”, rientrarono compatti ad Iglesias, ed alla stazione erano ad attenderli un numerosissimo pubblico[11].

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Gita a Roma (1933)
Dopolavoristi sardi all’Altare della Patria

Un discorso a parte merita l’ottava gita. Si tratta del viaggio a Roma del 1933, in occasione del Giubileo straordinario ordinato nella ricorrenza del 1900° anniversario della Passione e Resurrezione di Cristo. La gita ebbe come mete precise Roma, Napoli e Pompei e si tenne da mercoledì 28 giugno a martedì 4 luglio 1933. I partecipanti iglesienti furono 135. Ad essi vanno aggiunti i circa 350 cagliaritani che parteciparono alla trasferta, giacché la concezione e l’organizzazione di questa furono dell’Unione Provinciale di Cagliari della C.N.S.F. dell’Industria. La documentazione sopravvissuta permette la ricostruzione precisa della disciplina nell’organizzazione della gita e nel suo svolgimento: i 135 gitanti vennero divisi in 9 squadre di circa 14 uomini, e le squadre a loro volta vennero ordinate in 3 manipoli. A capo dei tre manipoli vennero indicati Domenico Sorarù, Riccardo della Porta, Disarmo Pissard, tutti impiegati nei quadri amministrativi della Società. Egualmente al comando delle squadre si confermarono i medesimi rapporti di classe indicando i capisquadra tra gli impiegati in gita. Comandava l’intero gruppo di gitanti il numero due della gerarchia di Monteponi, l’ing. Musio. Nel retro di ogni tesserino di riconoscimento si leggeva infine: “Ordine – puntualità – compostezza e disciplina sono requisiti più che mai necessari perché la gita raggiunga, come le precedenti, ottimo esito”. Ecco la cronaca di una giornata di quella gita:

Accolti con fraterna cordialità, sono da ieri a Roma cinquecento dopolavoristi sardi, appartenenti all’Unione provinciale dei Sindacati dell’Industria. È questo il primo gruppo di lavoratori autentici che la Sardegna invia a visitare la Roma fascista e la Mostra della Rivoluzione, e a rendere omaggio alla tomba del Milite Ignoto e all’ara dei Caduti fascisti. Per la più parte di questi mirabili isolani – piccoli, asciutti, forti, dagli occhi nerissimi, rudi esteriormente, ma pieni di schietta cordialità appena a contatto con chi sappia comprenderli – questa visita a Roma costituisce la prima conoscenza del continente. Giovani quasi tutti – se se ne tolgono un centinaio di valorosi della grande guerra, decoratissimi – che mai avevano lasciato la loro isola. Da ieri, sbarcati a Civitavecchia e arrivati a Roma, vanno passando di sorpresa in sorpresa, soddisfatti che l’aspettazione non sia andata delusa, contenti delle accoglienze ricevute.

Hanno impiegato la loro prima giornata in una visita alla città: quella di oggi nella manifestazione di omaggio e devozione. Essi stamane si sono riuniti al Colosseo, agli ordini dell’on. Tredici, segretario dell’Unione dei Sindacati di Cagliari, e della lunga colonna facevano parte 300 minatori dell’Iglesiente e duecento lavoratori delle varie industrie cagliaritane. Il comm. Bisi, segretario della Federazione Nazionale delle industrie estrattive, ha condotto gli ospiti alla Mostra della Rivoluzione, che i sardi hanno visitata attentamente. Nel pomeriggio, poi, presso la Via dell’Impero, la colonna si è ricomposta e, agli ordini dei gerarchi sindacali, è salita al monumento a Vittorio Emanuele, raccogliendosi intorno alla tomba del Milite Ignoto, dove ha deposto una corona di alloro. Reso omaggio, salutando e sfilando romanamente, i sardi sono saliti in Campidoglio a deporre un’altra corona sull’ara dei Caduti fascisti.

Dal sacro colle il corteo è ridisceso per raggiungere il Palazzo del Littorio, dove li attendeva l’on. Clavenzani e dove tutti hanno visitato la cappella votiva dei Martiri della Rivoluzione. Poi, per invito del Segretario del partito, i sardi si sono riuniti nel salone delle adunanze. Con questo atto di particolare cordialità, l’on. Starace ha voluto dimostrare loro quanto la visita gli fosse gradita. Accolto da grida di “Duce! Duce!”, il Segretario del Partito è passato tra due ali di lavoratori acclamanti con entusiasmo. […]. Ristabilitosi il silenzio ha parlato il Segretario del Partito, S.E. Starace ha ringraziato i convenuti del saluto che gli hanno recato ed ha riaffermato l’affetto del Fascismo per la Sardegna, affetto di cui è prova l’interessamento continuo del Governo per la forte isola, affetto e comprensione del valore sardo di cui sarà una riprova la prossima convocazione del Consiglio nazionale del Partito nella città di Cagliari (Acclamazioni e grida di: “Viva il Duce!”). Ha poi celebrato le doti del popolo sardo, dotato di un magnifico spirito guerriero, d’un saldo amore per la famiglia, d’una profonda fede religiosa e d’una provata devozione per la Patria. […].

I sardi hanno ascoltata la parola semplice e schietta di S.E. Starace, sottolineandola con fervidi consensi e con prorompenti evviva. Alla fine un grido impetuoso e travolgente è risuonato nel salone, un grido di entusiasmo e di fede che si è espresso nel nome del Duce. La manifestazione ha assunto un tono di commossa fede, quando in coro, quasi fosse corsa una parola d’ordine, tutti hanno reclamato: “Vogliamo il Duce in Sardegna: lo vogliamo a Cagliari!” e l’On. Starace, sorridendo, commosso, ha assicurato che con gioia avrebbe recato al Duce questo appassionato desiderio. Così questi mirabili lavoratori hanno oggi riaffermato in Roma la loro sincera devozione alla Rivoluzione ed al suo Capo[12].

Anche nel secondo dopoguerra, dopo la ricostituzione dell’Associazione Erminio Ferraris del 1946, le attività dopolavoristiche per i dipendenti della Monteponi hanno proseguito sulla traccia già nota dell’escursionismo e dell’organizzazione di viaggi e gite, per quanto con caratteri progressivamente diversi e distanti dal pionierismo dell’OND.

La sopravvenuta mutazione dei costumi sociali, ma soprattutto il progresso e la diffusione dei mezzi di trasporto privato vissuta con il boom economico, circoscrivono oggi le gite dopolavoristiche e la relativa organizzazione del tempo libero ad un contesto ormai completamente storicizzato. Per la profondità ed il radicamento di tale esperienza, senza la sua analisi e ponderazione risulta oggettivamente difficile l’analisi delle mutazioni prodotte  dall’industrializzazione – in questo caso quella mineraria, nell’area spaziale dell’Iglesiente – specialmente in relazione al rapporto con lo sport ed il turismo, con l’idea del viaggio e più in generale con la categoria del “tempo libero”.

Giampaolo Atzei

Notes de pied de page

  1. ^ Borsista della Regione Autonoma della Sardegna presso il Parco Geominerario Storico ed Ambientale della Sardegna. Borsa di Ricerca cofinanziata con fondi a valere sul PO Sardegna FSE 2007-2013, sulla L.R.7/2007 “Promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna”.
  2. ^ Cfr. M. S. Rollandi, Miniere e minatori in Sardegna, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1981, p. 22.
  3. ^ Cfr. A. M. Catte, Organizzazione scientifica del lavoro e rappresentazione sociale del minatore in alcune miniere sarde, in T. Kirova (a cura di), L’uomo e le miniere in Sardegna, Cagliari, Edizioni della Torre, 1993, p. 153.
  4. ^ Sulla storia dell’Opera Nazionale Dopolavoro cfr. il fondamentale V. De Grazia, Consenso e cultura di massa nell’Italia fascista. L’organizzazione del dopolavoro, Roma-Bari, Laterza, 1981.
  5. ^ Per notizie sulla miniera di Monteponi e sulla storia dell’omonima Società si rimanda al volume celebrativo Società di Monteponi, Centenario 1850-1950, Torino, Tip. V. Bona, 1952.
  6. ^ Il Dopolavoro della Società di Monteponi sopravvive ancora oggi nelle vesti dell’Associazione Erminio Ferraris di Iglesias. Il circolo ha sede in uno degli edifici storici della miniera di Monteponi e conserva dello storico Dopolavoro la biblioteca, la collezione di trofei, una ricca documentazione fotografica e l’intero archivio. Per informazioni e contatti: associazioneferraris@tiscali.it
  7. ^ Cfr. Archivio Ferraris Iglesias (d’ora in poi AFI), Associazione Santa Barbara tra i dipendenti della Società di Monteponi. Statuto sociale (1925), art. 2.
  8. ^ Anche in altri campi gli atleti del Dopolavoro Monteponi ebbero modo di distinguersi: nell’atletica leggera Marco Coppa e Giuseppe Maccioni parteciparono ai campionati italiani allievi di atletica leggera, tenutisi a Pesaro dal 13 al 20 maggio 1928, dopo aver fatto incetta di titoli regionali. La squadra di ginnastica partecipò nel luglio 1935 al VII Concorso Ginnico Atletico Nazionale dei Dopolavoristi d’Italia, che si tenne nei prati romani dei Parioli, conquistando il diploma di primo grado. I ginnasti di Monteponi si confermarono sugli stessi livelli anche nei successivi concorsi del luglio 1936, luglio 1937 e giugno 1938. Altre soddisfazioni arrivarono dal pugilato con Nino Arba campione sardo dei pesi piuma nel 1929, mentre la pratica sportiva si estese anche alla pallacanestro, pallavolo, scherma, gioco delle bocce, tiro alla fune, tiro a segno e, in maniera episodica e limitata, all’atletica pesante ed alla lotta greco-romana. Nel secondo dopoguerra, il Gruppo Sportivo Monteponi raggiunse grandi e nuovi risultati, prima della crisi mineraria degli anni Sessanta, che portò fatalmente alla chiusura pure del reparto sportivo. Tra i tanti protagonisti di quegli anni si ricorda l’olimpico Franco Sar, uno dei più grandi interpreti italiani del decathlon, dominatore dal 1958 al 1965 della scena nazionale della categoria, conquistando otto titoli nazionali e stabilendo ripetuti primati. Partecipò alle Olimpiadi di Roma nel 1960 e Tokio nel 1964, classificandosi rispettivamente al sesto e tredicesimo posto nella classifica finale del decathlon.
  9. ^ AFI, Opera Nazionale Dopolavoro - Dopolavoro Provinciale Cagliari. Circolare N° 463: Norme per la costituzione e l’incremento dei Dopolavoro – Finalità – Attività dopolavoristiche – Facilitazioni ai tesserati, Cagliari, 26 novembre 1934.
  10. ^ “La gita del Dopolavoro Monteponi a Cagliari”, in L’Unione Sarda, 12 dicembre 1926.
  11. ^ “DOPOLAVORO – Escursionismo. Una gita della Monteponi”, in La Gazzetta dello Sport, 25 maggio 1928.
  12. ^ “500 LAVORATORI SARDI A ROMA. La visita alla Mostra della Rivoluzione – Un discorso del Segretario del Partito – Entusiastiche acclamazioni al Duce”, in Gazzetta del popolo, 1° luglio 1933.

Référence électronique

Giampaolo ALZEI, « TEMPO LIBERO E DOPOLAVORO NELLE MINIERE SARDE », Astrolabe - ISSN 2102-538X [En ligne], Mai / Juin 2010, mis en ligne le 08/08/2018, URL : https://crlv.org/articles/tempo-libero-e-dopolavoro-nelle-miniere-sarde