QUANDO IL VIAGGIO SI FA SMART

QUANDO IL VIAGGIO SI FA SMART

Viaggi, scrigni magici pieni di promesse fantastiche, non offrirete più intatti i vostri tesori. Una civiltà proliferante e sovreccitata turba per sempre il silenzio dei mari. Il profumo dei tropici e la freschezza degli esseri sono viziati da una fermentazione il cui tanfo sospetto mortifica i nostri desideri e ci condanna a cogliere ricordi già quasi corrotti.
(C. Lévi-Strauss, Tristes tropiques, 1955)

Con questo passaggio, tratto da Tristes Tropiques, nel 1955 Lévi-Strauss  preannunciava la fine dei viaggi, come in una sorta di brusco disincanto. In realtà il viaggio, sì, era cambiato, ma non finito.  Il cambiamento maggiore ci fu in quegli anni, immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando il progresso scientifico ed industriale stravolse completamente stili di vita, società, economia e mezzi di trasporto. Inizialmente il turismo fu eredità del viaggio, era considerato il viaggio dei moderni, ma ben presto quel legame che lo rendeva una delle forme di viaggio si è rotto, lasciandoci a tutto ciò che è il post-turismo: «una riproduzione infinita di luoghi, persone, emozioni, secondo tecniche affini a quelle dei media» come lo definisce Claudio Visentin, studioso di storia del turismo che prosegue: «il turismo non è più un’esperienza fondamentale dell’esistenza , ma soltanto una qualunque attività del tempo libero. […] abbiamo perduto il viaggio e il turismo è tutto ciò che ci rimane».  Ma la fine del viaggio può essere superata e c’è chi si impegna a farlo, ridisegnando lo spazio, inventando nuovi modi di vedere.

E’ pertanto inutile accusare il turismo di essere una forma di anti-viaggio: sono i tempi ad esser cambiati e soprattutto la società ed i suoi valori. Il viaggio è divenuto a mano a mano una vera e propria impresa, non più nel senso di fatica ed asperità nel compierlo, bensì di impresa commerciale: l’industria del turismo. Questi cambiamenti hanno influito anche sulla scrittura di viaggio ed è su questo che si pone l’attenzione in questo articolo. Il viaggio resta legato al movimento nello spazio, ma ignora ormai le mete tradizionali, cancella l’interesse per i punti di partenza e di arrivo, non osserva una cronologia lineare e progressiva né una coerenza ideologica. In poche parole diventa passaggio e circolazione.

Un tempo, quando viaggiare era un’arte, non viaggiavano in molti e si scriveva per offrire l’opportunità a chi non lo avesse ancora fatto, di preparare il proprio itinerario, o a chi non potesse, di viaggiare stando comodamente seduto sulla propria poltrona. Le informazioni contenute nei resoconti di viaggio rispettavano la legge oraziana del miscere utile et dulce, e hanno tramandato fino ai nostri giorni, in maniera dulce tutto ciò che di utile oggi conosciamo relativamente a civiltà, storia, politica, geografia, letteratura, arte e quant’altro. Nel 1770 la Critical Review riassumeva le caratteristiche di un libro di viaggi:

Un libro di viaggi, i cui materiali rivestano un’importanza generale e siano convenientemente trattati, costituiscono uno dei prodotti letterari più attraenti e istruttivi. In esso si registra una felice commistione di utile e di dulce; esso diverte e cattura la fantasia senza ricorrere alla finzione romanzesca; ci fornisce un’ampia messe di informazioni pratiche e morali senza la noiosità della trattazione sistematica. Promuove e facilita le relazioni fra città lontane l’una dall’altra; sgombra le nostre menti da quegli irragionevoli e torbidi pregiudizi nei confronti di maniere, costumi, forme di religione e di governo nelle quali non siamo stati allevati; rende l’uomo mite e socievole con il prossimo; fa sì che consideriamo noi stessi e l’umanità intera come fratelli, creature di un supremo e benigno Creatore: una verità, questa, tanto ovvia in teoria, quanto disattesa nella pratica.

Quando un viaggio finiva ne iniziava un altro: quello della scrittura. La forma diaristica ed epistolare conferiva al testo una piacevole e scorrevole lettura e dava l’idea dell’esperienza vissuta in movimento. La maggior parte dei testi di viaggio venivano composti al rientro, rielaborati a mente fredda, unendo appunti e colmando lacune con documentazioni storiche o citando altri viaggiatori.  La scrittura offriva fantasie, spunti, dettagli, storie e continuava a viaggiare nei secoli, tramandata nei racconti, citata in altri testi, tradotta e ridata alla stampa. Il viaggio attraversava i secoli per giungere fino a noi.

Un libro è un immancabile compagno di viaggio, ma soprattutto un punto di partenza. Si parte dopo aver letto, anche solamente un manuale di geografia o una guida turistica, spinti da qualcosa che attira la nostra attenzione e sollecita la nostra curiosità. Viaggio e scrittura sono in fondo la stessa cosa e, come afferma Lapouges, il viaggio comincia ad esistere davvero solo dal momento in cui lo si converte in inchiostro.

Ma oggi, che il viaggio si è fatto smart, il turista cambia e cambia il modo di vivere il viaggio, di iniziarlo, di viverlo… di scriverlo. A differenza di un secolo e mezzo fa, nell’era della globalizzazione il viaggio è accessibile a tutti:

La gente si dedica con tanta frequenza e in tal numero ai viaggi, che si è portati a chiedersi chi mai possa rimanere a casa, ed alcuni mirano a distinguersi in quest’epoca migratoria facendosi un vero e proprio dovere di vedere ogni cosa… […] Cinquant’anni fa, viaggiavano soltanto i nobili e i ricchi; e anche di questi nemmeno di uno su dieci si poteva dire giustamente che avesse visto il mondo. A quel tempo la traversata delle Alpi era estremamente difficile e costosa; le strade e le locande, in generale, erano in condizioni così cattive che un viaggio da Parigi a Roma era una vera e propria impresa, e un soggiorno in una di queste due città significava un mutamento totale d’abitudini per chi non vi risiedesse abitualmente. Stanotte un giovane inglese di mia conoscenza mi ha domandato cortesemente se poteva essermi utile in qualche cosa a Londra. “Faccio una scappata a casa per un mese o sei settimane” aggiunse “e sarò di ritorno prima che voi ripartiate per il Sud”. Considerava quel viaggio press’a poco come noi consideriamo un’escursione da New York a Washington. Suo padre avrebbe impiegato a prepararsi per un viaggio di questo genere più di quanto il figlio ne impiegherà a compierlo.  [James Fenimore Cooper, Excursions in Italy, 1838].

Si viaggia molto ma troppo velocemente e si resta alla superficie delle cose. Si ha una visione frettolosa dei luoghi presenti nell’ultimo pacchetto last minute o nell’ultima destinazione del volo low-cost disponibile, senza desiderio di entrare in contatto con i luoghi e le persone, senza avere la curiosità di conoscere usanze e culture diverse dalle nostre, ma solo per attraversare i luoghi, per dire di esserci andati, senza entrarvi in contatto.  Il viaggio è rapido: inizia nel momento in cui si accende il computer e si cercano informazioni relative ai luoghi e territori delle mete prescelte. Si viaggia ormai in aereo e in tal modo non ci si rende conto del viaggio, ma semplicemente si arriva a destinazione. Ed inevitabilmente cambia il mondo di descrivere lo spazio, ed il viaggio diviene una sorta di vagabondaggio.  

Ed anche lo stupore del ritorno, amato da Stendhal, inevitabilmente svanisce.

I primi segnali di questo cambiamento di percezione si ebbero già verso metà Ottocento, quando John Ruskin si espresse contro la velocità e contro i moderni mezzi di trasporto, affermando che non ci avrebbero certo consentito di vedere più cose solo per il loro procedere più rapido:

Nessuno spostamento a centocinquanta chilometri l’ora ci renderà di un solo briciolo più forti, più felici o più saggi. Nel mondo sono sempre esistite più cose di quante gli uomini riuscissero a vedere, per quanto lentamente essi camminassero, e certo non le vedranno meglio andando più veloci. A contare realmente sono la vista e il pensiero, non la velocità. Il passo lento non nuoce di sicuro all’uomo, poiché, se è veramente tale, la sua gloria non starà nell’andare, ma nell’essere.

Per alcuni la macchina fu un’altra pessima invenzione, deleteria per il viaggio, mentre per altri fu la vera svolta per riuscire a sfuggire alle beaten track ed alle tappe obbligate dalle soste del treno e per poter quindi compiere di nuovo un viaggio avventuroso.  Altro danno alla percezione del viaggiatore lo arrecarono le guide turistiche, con l’introduzione del metodo delle stelle per stabilire il grado di interesse e l’importanza di un certo luogo o monumento piuttosto che un altro. E così il turista non si è più concentrato, non ha più usato la propria percezione, ma si è semplicemente lasciato guidare accettando passivamente ciò che gli veniva proposto.  E gradualmente i luoghi hanno iniziato a prendere la fisionomia delle cartoline, e non più viceversa, non c’è più l’inatteso, l’imprevisto, la sorpresa, tutto è organizzato affinché i turisti non abbiano il minimo inconveniente ed i luoghi siano esattamente come si aspettano.

In In viaggio con l’asino, Andrea Bocconi racconta un significativo aneddoto sull’odierno modo di viaggiare e di attraversare i luoghi. L’antropologo Max Knaus nel corso di una spedizione in Borneo, allo scopo di “guadagnar tempo”, si mise a marciare rapido alla testa della spedizione. Ma i portatori ad un certo punto si fermarono: “siete stanchi?”, “No, ma siamo andati troppo veloci e quindi le nostre anime sono rimaste indietro”. La spedizione quindi si fermò per aspettarne l’arrivo.

Oggi, per assurdo, per ricavarci spazi di lentezza usiamo la velocità senza renderci conto che nella nostra forsennata ricerca di nuove esperienze da vivere, non vediamo ciò che abbiamo intorno. Bisogna reimparare a fare alcune delle prime cose che abbiamo imparato quando siamo venuti al mondo: a camminare, ad osservare, ad ascoltare. E’ così che i bambini acquisiscono  la conoscenza del mondo ed entrano in relazione con le persone.

La valigia del turista è piccola e fatta altrettanto frettolosamente, leggera, priva di libri, ma nella quale non manca l’ormai indispensabile iPhone o Smartphone di ultima generazione, dotati di block-notes per gli appunti, fotocamera per le istantanee, telecamera per brevi filmati del viaggio, e soprattutto della connessione al web. La connettività consente di condividere nell’immediato l’esperienza vissuta con amici e familiari, di pubblicare sul web attraverso i maggiori social network foto, filmati, testi e di aggiornare blog. Il viaggio è raccontato da vicino, è immediato, ma superficiale. Il racconto del viaggio cambia, si fa frammentario, si condivide subito ma brevemente. Non c’è tempo per soffermarsi ad osservare né tantomeno per scrivere e trasmettere informazioni a chi resta a casa, a chi leggerà e magari prenderà spunto per documentarsi ed accingersi ad un nuovo viaggio.

Questa la fine dei viaggi preannunciata da Lévi-Strauss: un futuro privo di libri di viaggio, privo di informazioni, storia, dettagli e curiosità, nessun viaggio che continuerà a vivere dopo di noi ed a viaggiare di tasca in tasca, di scaffale in scaffale, o forse dovremmo ormai dire .. di ebook in ebook.  Ma non dobbiamo dimenticarci che tutte le funzionalità ed opportunità che ci offrono i nuovi strumenti tecnologici siamo sempre noi a manovrarle, che deve essere sempre la nostra sensibilità a destare l’attenzione e la curiosità nel voler conoscere la complessità e varietà del mondo. L’occhio dietro alla camera è il nostro e la mano che digita il testo e lo condivide nell’immediatezza è pur sempre il nostro. Dobbiamo ascoltare ed osservare prima di scrivere e fotografare, ma per far ciò ci vuole tempo e nella nostra frenetica società sembra non essercene più. Dobbiamo fermarci ad aspettare la nostra anima, come i portatori in Borneo.

E’ necessaria l’educazione dello sguardo. Dobbiamo soffermarci sui particolari che ci attirano di più, andare oltre la superficie e scoprire ciò che di più interessante ci riserva il luogo o il monumento o la persona che abbiamo davanti. Tutto ciò che non siamo noi è altro, è quindi da scoprire, da conoscere e portare con noi, in una storia che al nostro ritorno racconteremo mostrandone le foto e raccontando tutto ciò che da quella foto non esce ma che abbiamo percepito e vissuto con tutti i nostri sensi. Una storia che rivivrà di nuovo ad ogni racconto, ad ogni lettura.

Basta avere occhi diversi, non ammassarsi come tanti turisti davanti ad un monumento cercando di farne la foto-cartolina migliore, per mostrarla al rientro, come riprova dell’esserci stato. Ma piuttosto fermarsi ad ascoltare ed osservare solo ciò che la storia, la meraviglia dell’architettura, e la sorpresa della natura hanno da raccontarci, reinterpretando ad ogni viaggio, ad ogni visita il nostro sguardo, avendo occhi sempre nuovi e avidi di dettagli.

Il paesaggio è come il volto di una persona cara, se ti concentri senti di poter entrare nelle rughe, nelle piaghe, nelle espressioni, ed allora quel viso ti racconta di sé e del suo passato.
[Claudio Magris]

L’abitudine ci ha resi ciechi, come afferma Alain de Botton, e le nostre aspettative si sono ormai atrofizzate e siamo certi di aver già scoperto tutto ciò che c’era da scoprire. Prima di partire per luoghi lontani ed esotici, è necessario soffermarsi ad osservare davvero quello che i nostri occhi hanno già visto, ma forse solo in superficie.

Forse uno dei nostri compiti più urgenti consiste nell’imparare di nuovo a viaggiare, eventualmente nelle nostre immediate vicinanze, per imparare di nuovo a vedere.
[Marc Augé]

Raffaella Cavalieri