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GIOVANNI FRANCESCO FARA:
IL PRIMO REPORTER NELLA STORIA DELLA SARDEGNA
Nel linguaggio comune il termine reporter è utilizzato per indicare un cronista, un corrispondente o un inviato su un avvenimento, su un luogo, o, più in generale, su un argomento specifico. Il reporter non si limita a fornire una serie di notizie ma cerca di descrivere l’ambiente, il contesto, il retroterra dell’avvenimento e di fornire al lettore notazioni che gli consentano di cogliere meglio il complesso di elementi che lo circonda. Dalla coniazione di questo termine fino ai nostri giorni il suo significato si è sviluppato e ampliato, assumendo nuovi caratteri, nuove norme, ma senza mutare la sua funzione principale: raccontare.
In questo breve trattato analizzerò la figura di uno storico del XVI secolo che possiamo considerare il primo reporter nella storia della Sardegna: Giovanni Francesco Fara.
A lui si deve la prima descrizione geografica e storiografica della Sardegna, frutto di una lunga ricerca di fonti e di un avventuroso viaggio negli angoli più remoti dell’isola.
Il fine di questo elaborato è di comprendere le motivazioni che spinsero lo storico sardo a scoprire i vari luoghi dell’isola sarda e la successiva produzione delle sue opere.
La vita e la produzione letteraria
Giovanni Francesco Fara nacque presso un’agiata famiglia nel 1542 a Sassari, dove frequentò i primi studi tramite un maestro privato. In seguito si recò a Bologna e a Pisa, dove si laureò nel 1567 in utroque iure e pubblicò la sua prima opera De essentia infantis, proximi infanti et proximi pubertati. La sua formazione fu prevalentemente giuridica e questo è verificabile nell’inventario dei libri della Bibliotheca di Fara da lui stesso stilata.
Tornò a Sassari nel 1568, anno in cui fu nominato arciprete, ma per una causa intentata da alcuni concorrenti alla carica fu costretto ad emigrare a Roma, luogo in cui ebbe la possibilità di approfondire le sue ricerche storiche e geografiche e accostarsi, in particolar modo, alle grandi opere storiche dei classici.
Rientrò a Sassari nel 1578 e riuscì a pubblicare qualche anno dopo la sua prima opera, De rebus Sardois[1], presso la tipografia di Nicolò Canyelles. L’opera ricalca quella di un tardo umanista siciliano, Tommaso Fazello, che nel 1558 pubblicò a Palermo un volume in venti libri intitolato De rebus Siculis decades duae[2].
Il primo libro del De rebus Sardois presenta una stesura definitiva e spesso, com’era in uso nella storiografia umanistica e rinascimentale, presenta dei veri e propri plagi di altre opere di cui non cita neppure le fonti delle quali si è servito. L’intento di Fara riportando le frasi di altre opere era di rendergli omaggio e far conoscere al lettore la presenza di fonti antiche che trattano la storia della Sardegna.
Nell’ultimo libro, nella narrazione di avvenimenti a lui contemporanei, sebbene le fonti d’archivio e quelle letterarie continuino ad essere citate, Fara attinge prevalentemente dalla sua personale conoscenza.
Nella stesura dell’opera è riconoscibile l’utilizzo da parte dello storico di un rigoroso criterio scientifico e della ricerca delle fonti. I primi volumi che Fara utilizzò furono quelli presenti nella sua Bibliotheca di cui fece una raccolta bibliografica premessa al testo.
La Sardinae brevis historia et descriptio di Sigismondo Arquer fu il primo tentativo di realizzare una descrizione geografica sommaria sulla Sardegna, pubblicata nel 1550 nella Cosmographia di S. Münster. Era un libro di poche pagine strutturato in sette capitoli che tracciava un quadro piuttosto preciso della società sarda del XVI secolo e forniva essenziali notizie fisiche, geomorfologiche, politiche, sociali e culturali della Sardegna.
La Chrographia Sardiniae di Giovanni Francesco Fara trattò gli stessi temi di Arquer realizzando però una vera e propria opera geografica sulla Sardegna dalle origini fino al XVI secolo, basata su un criterio rigorosamente scientifico.
L’opera ci è pervenuta esclusivamente attraverso la tradizione manoscritta, probabilmente perché Fara si proponeva un’ulteriore revisione prima della pubblicazione.
Fara intendeva comporre e pubblicare un’opera geografica sulla Sardegna dopo averla accuratamente visitata in tutte le località e aver svolto una scrupolosa ricerca presso gli scrittori, antichi o a lui contemporanei.
L’opera si articola in due libri:
-nel primo libro si dedica a una trattazione geografica, orografica, idrografica, fisica e climatologica della Sardegna, con alcune precisazioni su aspetti antropologici, culturali e socio-politici della regione;
-nel secondo libro, la descrizione avviene secondo la divisione per dioeceses, nel quale, sebbene si segua una partizione tematica precisa, gli argomenti si intersecano, interferendo l’uno nell’ambito specifico dell’altro.
L’opera è introdotta dall’elencazione dei nomi che la Sardegna assunse nel tempo e dalla descrizione delle isole che la circondano. Successivamente l’opera di Fara riporta le misure del territorio, dati su latitudine e longitudine, caratteristiche geomorfologiche del terreno, informazioni sulla produzione, produttività e prodotti agricoli, arboricultura, allevamento, giacimenti minerari e torrenti che lo storico enfaticamente definisce fiumi. La parte finale è dedicata invece al clima, ai costumi, alle usanze dei Sardi, alle loro strutture e cariche politiche.
La Chorographia Sardinae è la testimonianza della preparazione culturale di Giovanni Francesco Fara, in particolare della conoscenza dei classici. La stesura dei libri raccolti nella sua Bibliotheca ci documenta quali testi contribuirono alla sua formazione culturale: dagli autori classici, greci e latini, agli autori medievali e umanistici. Queste opere furono piuttosto utili per le testimonianze letterarie della Sardegna che Fara desiderava riportare con puntualità. Fu un lavoro di attenta ricerca e di raccolta, talvolta le notizie, come nel caso dell’opera De rebus sardois, erano riportate in forma di citazioni di seconda mano.
L’obiettivo dell’autore nella produzione delle due opere era di denunciare gli errori e le false denominazioni dei luoghi e di quel che riguarda la Sardegna per opera dei suoi stessi conterranei, ma anche di altri geografi come Leandro Alberti che nella Descrittione di tutta Italia, pubblicata nel 1550 a Bologna, riportò diverse lacune sull’isola.
Giovanni Francesco Fara, reporter del XVI secolo
Fara, nella pubblicazione della sua prima opera, De rebus sardois, voleva, come lui stesso dichiara nella lettera al lettore:
far conoscere in tal modo, per la lode della mia patria, le più antiche vicende dei sardi, le loro condizioni primitive, la dignità ed il culto della religione cristiana, e mostrare quale fosse la risonanza e la considerazione della Sardegna presso tutti i sovrani ed i popoli che, dalle più diverse madrepatrie, si riversarono in essa per fondarvi prospere colonie o affrontarono conflitti durissimi per conquistarne e conservarne il dominio.
Nella seconda opera, la Chorographia Sardianae, l’intento non si discostò tanto dal primo, aggiungendo però delle novità, come lui stesso dichiara nella stessa lettera prima citata:
Fra, non molto, se riuscirò a trovare più tempo libero, sarà mia cura pubblicare un altro libro, comprendente i fatti storici più recenti, ordinato cronologicamente fino ai giorni nostri e dotato di maggiore perfezione formale. Inoltre mi affretterò a fare uscire anche una descrizione della Sardegna frutto dei miei viaggi lungo tutta l’isola, dell’osservazione diretta di ogni luogo e con le notazioni di altri autori fedelmente riportate[3].
Questo suo viaggio alla scoperta dei luoghi della Sardegna potrebbe essere stato stimolato dallo stesso Tommaso Fazello che per scrivere De rebus Siculis decades duae, scelse di conoscere prima personalmente i luoghi dell’isola siciliana.
Nel XVI secolo i resoconti di viaggio erano piuttosto diffusi come strumento privilegiato per il processo di costruzione della cultura mediterranea e per la diffusione della conoscenza dei luoghi.
La Chorographia Sardinae in particolare, come ho già accennato, presenta un quadro preciso della Sardegna: le misure dei litorali dalla costa meridionale alla costa settentrionale, la descrizione degli alberi, delle erbe, degli animali, dei metalli, delle acque e degli animali acquatici, il clima, etc. Le descrizioni sono così dettagliate che sarebbe impossibile non credere al suo viaggio per la scoperta di questi luoghi. Ancor di più le successive descrizioni delle città dal punto di vista storico-sociale e artistico confermano una lunga permanenza dello storico nei siti principali della Sardegna.
L’intento di Giovanni Francesco Fara era di descrivere la realtà senza particolari affinamenti, senza accorte disposizioni del discorso, senza particolari simmetrie delle frasi o ricerche speciali di eleganza formale, ma perseguendo sempre la verità e l’autenticità dei luoghi visitati.
L’autore riuscì a mantenere un notevole equilibrio e una distinta imparzialità nel trattare il tema del primato tra Sassari e Cagliari che proprio da quel momento avrebbe cominciato a caratterizzare i rapporti tra le due città. Mentre altri storici e letterati dell’epoca per “innalzare il proprio campanile” non disdegnavano di ricorrere all’invettiva, alla detrazione e al falso, Fara sembrava essere interessato ad un altro fine: riportare alla luce tutto quello che c’era di più bello nell’isola sarda.
Bisogna comunque riconoscere che nelle opere sono presenti diverse falsificazioni riguardo ad avvenimenti storici e a caratteri culturali e sociali dell’epoca.
Ad esempio, nella narrazione della storia sarda pre-romana tendeva a mettere in evidenza una Sardegna civilizzata già prima della presenza dei romani nell’isola. Questo atteggiamento è da ricondurre a una naturale ripercussione dell’influenza della storiografia spagnola.
Fara, inoltre, sottolinea, erroneamente, la presenza di una folta classe colta, della grande propensione dei suoi abitanti per le lettere e le arti, dell’assoluta ed incorrotta fedeltà dei Sardi nei confronti del re e del loro grandissimo valore militare. Scrive, infatti, che:
I sardi sono dotati di un ingegno nativo, a detta di Aristotele melanconici, e inclini alle lettere: perciò la Sardegna ha dato i natali a molti illustri scienziati- li ho citati nelle mie « Storie»- e sempre di numerosi sono nel tempo coloro che studiano medicina e giurisprudenza in Italia e in Spagna mentre vi sono a Sassari e a Cagliari dei sardi molto dotti che impartiscono pubblico insegnamento di grammatica, retorica, filosofia e teologia: per questo la Sardegna ha teologi assai colti e predicatori del verbo di Dio, filosofi, medici e giuristi insigni, nonostante taluni, ignoranti di cose sarde e pieni soltanto della propria zotichezza e degli scritti di persone insipienti, vadano sconsideratamente blaterando il contrario. Sono inoltre celebri per il valore militare e per l’incorruttibile fedeltà verso il re, come sappiamo da frequentissime testimonianze storiche e dalla quotidiana esperienza[4].
Anche quando affronta aspetti di tipo religioso Fara, cerca di attenuare la narrazione dei provvedimenti non sempre ortodossi da parte dell’Inquisizione affermando l’assenza di eretici in Sardegna.
Arquer, invece, mostra un quadro piuttosto differente, riporta con maggior libertà una serie di giudizi negativi sul clero, sulla società civile e sulle abitudini religiose di chierici e religiosi. Perfino il vescovo di Cagliari, Antonio Parragues, negli stessi anni descriveva una popolazione dedita alla superstizione e in preda all’ignoranza[5].
I motivi per cui Fara assuma tale atteggiamento sono da ricondurre probabilmente agli effetti del Concilio tridentino e forse ai reali, seppur ancora deboli, cambiamenti della condizione culturale dell’isola che cominciavano a realizzarsi nell’isola all’inizio del XVI secolo.
Leggendo le parole scritte da Fara riguardo alle doti nascoste dai sardi, si ha come l’impressione che l’autore voglia convincere qualcuno. A questo punto è naturale chiederci chi sia questo qualcuno.
Sappiamo che De rebus sardois, si affermò soltanto in ambito locale, mentre De Chorographia Sardinae fu conosciuta anche in ambito nazionale.
Possiamo presumere che l’obiettivo di diffondere le sue opere anche in ambito nazionale fosse già pianificato dall’autore e questo è verificabile dal fatto che l’opera è scritta in latino. Fara avrebbe potuto scrivere l’opera in italiano, in sardo o addirittura in spagnolo, data la presenza del dominio spagnolo nell’isola, ma scelse invece la lingua tipica del genere storiografico con il desiderio di rivolgersi alla Penisola.
Anche secondo Pilia, uno dei suoi maggiori studiosi, Fara scrisse in lingua latina perché il suo interesse principale era di creare un’opera dotta e di sacrificare l’interesse del popolo locale a quello più generale dei dotti.
Io presumo che i dotti ai quali si rivolge non siano solo quelli di ambito locale, ma anche quelli di ambito nazionale. A confermare questa mia ipotesi è l’assenza di sardismi all’interno delle sue opere, come se Fara volesse essere compreso appieno dalle persone a cui è rivolto, non, probabilmente, dal popolo sardo.
In conclusione posso dire che al di là degli intenti dell’autore, attraverso il suo viaggio alla scoperta dell’isola e la sua successiva produzione letteraria, Fara svolse un lavoro piuttosto importante per il patrimonio culturale della storiografia sarda e l’identità dei suoi abitanti.
Fino al XVI secolo la storia, le tradizioni della Sardegna erano tramandate soprattutto oralmente e i confini, i luoghi erano sconosciuti persino agli stessi suoi abitanti.
Fara, spinto da un sentimento, se così si può dire, nazionalistico e dal forte amore nei confronti della propria terra, ha scelto di lasciare un segno indelebile nella memoria dei sardi e anche oltre mare, intentando un progetto ambizioso quanto arduo che oggi lascia un’eredità importante alla quale noi tutti siamo riconoscenti.
Carla Faedda
Notes de pied de page
- ^ Giovanni Francesco FARA, De rebus Sardois / introduzione e traduzione italiana di Enzo Cadoni e di Giovanni Lupinu, Sassari, Gallizzi, 1992.
- ^ Tommaso Fazello, De Rebus Siculis Decades Duae, Palermo, Tipografia Maida, 1558.
- ^ Giovanni Francesco Fara, In Sardiniae chorographiam / introduzione, edizione critica e apparato a c. d. Enzo Cadoni; traduzione italiana di Maria Teresa Laneri, Gallizzi, Sassari 1992, p. 76.
- ^ G.F. Fara, In Sardiniae chorographiam cit., p. 149-151.
- ^ Enzo CADONI, Raimondo TURTAS, Umanisti sassaresi: le biblioteche di Giovanni Francesco Fara e Alessio Fontana, Gallizzi, Sassari 1988.
Référence électronique
Carla FAEDDA, « GIOVANNI FRANCESCO FARA », Astrolabe - ISSN 2102-538X [En ligne], Novembre / Décembre 2011, mis en ligne le 10/08/2018, URL : https://crlv.org/articles/giovanni-francesco-fara