IL PROTETTO DEGLI ULDRA

IL PROTETTO DEGLI ULDRA
Axel Munthe in Lapponia

Alessandra Grillo[1]

En 1884, Axel Munthe, jeune médecin suédois qui travaille à Paris, quitte son cabinet de l’avenue de Villiers, pour entreprendre un voyage dans la Laponie suédoise. Munthe décrit son excursion lapone dans son ouvrage le plus célèbre, L’Histoire de Saint-Michel, où le langage reflet le contact de l’auteur avec la nature, avec les animaux et avec tout un monde transcendent, typique de la culture traditionnelle des Same.

Nel 1884 Axel Munthe (1857 – 1949), giovane medico svedese trapiantato a Parigi, lascia il proprio studio di avenue de Villiers per intraprendere un viaggio nella Lapponia svedese. Benché nato a Oskarshamm, nel sud della Svezia, Munthe ha un forte legame con il proprio paese e con il Nord in particolare: la natura, l’infanzia sempre a contatto con gli animali e la balia, dalla pelle scura come una sami, ma alta e dal linguaggio sconosciuto, che pare averlo “stregato” con sangue di corvo nel latte.

Munthe descrive l’escursione lappone nella sua opera più celebre, La Storia di San Michele: scritta su consiglio di Henry James, viene pubblicata nel 1929 e appare in Italia nel 1932, presso Treves. Il tono utilizzato da Munthe, nel raccontare del proprio ritorno alle origini, è molto naturale, pur descrivendo fatti sovrannaturali, linguaggio che caratterizza in definitiva tutta la sua opera; la stessa idea del viaggio parte da un’esperienza trascendentale, un dialogo con Leo, il proprio cane, avvenuto in un castello della campagna francese, e successivamente con un fantasma, nella propria casa parigina. E tutto il viaggio è improntato ad un estremo contatto con la natura, con gli animali e con la cultura tradizionale sami.

I quattro animali-simbolo della Lapponia, l’orso, il lupo, la renna e il cane, compaiono fin dalle prime pagine del capitolo dedicato al viaggio nordico. Munthe abita con una famiglia di sami nomadi, una tribù divisa tra cinque tende, impegnata nell’allevamento di un gregge di più di mille renne; il capoclan, Turi, si dice preoccupato e pronto a smontare le tende, a causa della presenza di orsi e lupi nella zona. L’autore, che è molto legato soprattutto al primo animale (da sempre considerato il padre del popolo lappone), presenta una sintesi delle più importanti tradizioni magico-religiose dell’antico mondo sami. L’orso che vive vicino all’accampamento di Turi è un vecchio animale molto furbo, che per ben tre volte la tribù ha cerato di catturare, fallendo sempre, principalmente perché esso è protetto dagli Uldra, “il piccolo popolo che vive sotto terra”.

Quando l’orso si addormenta durante l’inverno, gli Uldra gli portano il cibo di notte; naturalmente nessun animale potrebbe dormire tutto l’inverno senza nutrirsi […]. È legge che l’orso non debba uccidere l’uomo. Se infrange la legge, gli Uldra non gli portano più cibo, e d’inverno non può più dormire. L’orso non è furbo e traditore come il lupo. L’orso ha la forza di dodici uomini e la furberia di uno. L’orso è galantuomo, ama la lotta leale.[2]

Turi, inoltre, aggiunge che l’orso rispetta soprattutto le donne, che non vengono mai attaccate: tutto quello che una donna deve fare è mostrargli di non essere un uomo; questa credenza rimanda alla leggenda cosmogonica dei Lapponi Skolt, secondo la quale il primo uomo sami discenderebbe dall’unione di un orso con una fanciulla. E lo stesso Munthe ne ha la riprova durante il proprio viaggio da Vassojarvi (dove Turi ha il suo accampamento) a Forsstugan, quando di fronte ad un orso Ristin, la giovane guida dello scrittore, si mostra semplicemente di fronte all’animale, che dopo averla osservata, lascia in pace i due viandanti, riparando nel bosco[3]. Atteggiamento completamente opposto è quello del lupo, che lascia trasportare dal vento il proprio odore, fino alle narici delle renne, le quali spaventate fuggono e si disperdono, divenendo così facili prede per il branco. Anche il cane un tempo cacciava insieme al lupo, ma in seguito si accorse che era molto più semplice lavorare insieme agli uomini e a questi offrì i propri servigi, a condizione di essere sempre trattato come amico e di essere impiccato al momento della morte: questa è infatti la fine che viene data ai vecchi cani e ai cuccioli che non possono essere nutriti per mancanza di cibo[4]

Munthe chiede spiegazioni a proposito degli Uldra, volendo sapere se Turi ne ha mai visto uno, ed ecco la descrizione precisa che riferisce l’anziano sami:

No, non li aveva mai veduti, ma sua moglie e i bambini li vedevano spesso. Ma li aveva sentiti muovere sotto terra. Gli Uldra si muovono durante la notte, dormono durante il giorno perché non possono vedere la luce. Talvolta quando accade che i Lapponi piantino le tende in un luogo abitato dagli Uldra, questi li avvertono di trasportarle più lontano. Gli Uldra sono piuttosto affabili, finché sono lasciati tranquilli. Se sono disturbati, spargono sulla borracina una polvere che uccide le renne a dozzine. È anche successo che hanno portato via un bimbo lappone, sostituendolo nella culla con uno dei loro. I loro bimbi hanno la faccia coperta di pelo nero e lunghi denti appuntiti in bocca. Qualcuno dice che si deve battere il loro bimbo con una bacchetta di betulla accesa, finché la mamma, non potendo più sopportare le grida del piccolo, non abbia riportato il vostro bimbo e ripreso il suo. Altri dicono che si deve trattare il loro bambino come se fosse vostro: allora la mamma uldra, per riconoscenza, ve lo renderebbe. Mentre Turi parlava, una viva discussione su quale dei due metodi fosse il migliore avveniva fra le donne, che stringevano i loro bambini con espressione inquieta.[5]

Agli Uldra vengono lasciate offerte in cibo all’interno della tenda, contenute normalmente in un piattino per terra; gli Uldra, inoltre, sono spiriti che affiancano lo sciamano durante la seduta e gli conferiscono i poteri che gli permettono di curare e guarire. Munthe, infatti, in quanto medico, si interessa in modo particolare alla medicina tradizionale lappone e scopre quanto essa sia ancora molto primitiva, a causa principalmente delle lunghe distanze: l’unico medico della zona viene infatti in visita due sole volte all’anno. In tali condizioni, il riferimento della popolazione è il “santone”, lo sciamano, che funge da medico e da sacerdote: i rimedi sono i più svariati, anche se quello più diffuso è la pranoterapia, la semplice imposizione delle mani sulla parte dolente, ma valide alternative sono anche il salasso e il massaggio; i rospi bolliti nel latte sono utili contro la tosse, dieci pidocchi (sempre bolliti nel latte salato) sono la cura contro l’itterizia e in caso di morso di un cane le ferita deve essere strofinata con il sangue dello stesso animale[6]

Munthe vorrebbe incontrare uno di questi santoni, ma il più vicino abita dall’altra perte della catena montuosa; essi sono riconoscibili dal loro comportamento con gli animali, che non hanno paura e si fanno avvicinare, e dalla forma delle loro mani. Quasi inconsciamente, Munthe porge la propria mano a Turi e alla moglie, che dopo averla osservata, con espressione inquieta, lo investono di domande riguardanti la sua infanzia, per arrivare ad una sbalorditiva conclusione:

“Ti ha detto tua madre che sei nato con la camicia? Perché non ti ha dato il suo latte? Chi ti ha allattato? Che lingua parlava la tua balia? Ha mai messo il sangue d’un corvo nel tuo latte? Ha mai appeso al tuo collo la zampa d’un lupo? Ti ha mai fatto toccare un teschio, quando eri bambino? Hai mai visto gli Uldra? Hai mai sentito i campanelli delle loro renne bianche, lontano, nella foresta?”
“È un santone, è un santone!” disse la moglie di Turi, guardandomi di sfuggita, quasi con inquietudine.
“È protetto dagli Uldra,” ripetevano tutti con gli occhi intimoriti.
Avevo quasi timore io stesso, quando ritirai la mano.[7]

Tutte queste “rivelazioni”, che appaiono inquietanti allo stesso Munthe, vengono successivamente spiegate durante la “conversazione” tra il medico e uno gnomo, entrato nella stanza di Axel per curiosare. Da questo incontro apprendiamo dell’infanzia difficile di Munthe, sempre interessato agli animali più disparati (pipistrelli, serpenti, rospi, talpe), che spaventano a morte la sorellina e mandano su tutte le furie i genitori, dato che Axel li alloggia nella propria cameretta e perfino nel letto. Tutto particolare è il suo rapporto con la balia che, dice lo gnomo, avrebbe messo del sangue di corvo nel latte del bambino e gli avrebbe allacciato al collo una zampa di lupo come amuleto. Sono tutte credenze piuttosto note in ambito lappone e ugrofinnico, pratiche magiche tese a preservare la persona dai malefici e dagli spiriti malvagi.

Quanto al rapporto con gli Uldra, queste entità sovrannaturali si manifestano principalmente agli animali e ai bambini, in quanto “anime pure”, maggiormente predisposte al contatto con l’aldilà. Il mattino successivo all’incontro con lo gnomo, Lars, il lappone che ha ospitato Munthe, si dice piuttosto inqueto per la notte passata: gli animali erano tutti in agitazione, in particolare il cane e i polli, e tutt’attorno all’abitazione erano ben visibili le tracce di lupi, orsi e scoiattoli, che normalmente non si avvicinano così tanto alle case. L’unica spiegazione che Lars può dare è la presenza di un essere sovrannaturale: il lappone diffida della ragazza che ha accompagnato Axel (“non si sa mai con questi Lapponi, son tutti pieni di stregonerie e intrighi del diavolo”[8], ma in realtà guarda con sospetto lo stesso medico, che ha sentito parlare nel sonno, e in fondo non vede l’ora che questi riparta.

Gli Uldra non sono i soli spiriti a cui Munthe si interessa durante il proprio viaggio: durante la sua permanenza nell’accampamento di Turi, egli si informa se siano presenti degli Stallo nelle vicinanze e il lappone risponde: “Dio ce ne liberi”. Gli Stallo o Stalo infatti sono spiriti dei morti, malvagi e giganteschi, che bisogna cercare di non avvicinare. Eccone la descrizione di Turi:

Sai, il fiume che dovrai guadare domani è ancora chiamato Stalo, perché il vecchio orco vi abitava nei tempi passati con quella strega di sua moglie. Avevano un occhio solo in due, sicchè si picchiavano e discutevano sempre quale dei due avrebbe dovuto avere l’occhio per vedere. Mangiavano sempre i loro bambini, ma mangiavano anche molti bambini lapponi quando se ne presentava l’opportunità. Stalo diceva che gli piacevano di più i bimbi lapponi, i suoi avevano troppo sapore di zolfo. Una volta, mentre attraversava il lago in una slitta tirata da dodici lupi, cominciarono, come al solito, a litigare per l’occhio; e Stalo divenne così furibondo che fece un buco nel fondo del lago, tutti i pesci scapparono e non ne tornò più nemmeno uno. E perciò si chiama ancora Lago Siva. Lo attraverserai domani e vedrai da te stesso che non c’è rimasto nemmeno un pesce.[9]

Se gli Stallo sono spiriti tipici della cultura tradizionale sami, i Troll sono invece un’entità prettamente germanica (scandinava), ma anche questi sono presenti nell’immaginario lappone, soprattutto considerato il fatto che Munthe viaggia nella Lapponia svedese, dove l’influsso germanico è molto forte. Anche i Troll sono orchi giganteschi, malvagi, posti a guardia di grandi tesori. Ecco il racconto di Lars, a riguardo di un Troll vissuto vicino alla sua abitazione, in montagna:

Troll era molto ricco, aveva centinaia di brutti nani che facevano la guardia al suo oro sotto la montagna e una grande quantità di renne tutte bianche come la neve, con campanelli d’argento intorno al collo. Ora, dacchè il re aveva cominciato a far saltar le rocce per scavare il ferro grezzo e cominciato a costruire una ferrovia, non aveva più sentito parlare di Troll.[10]

Le ultime entità citate e temute dai sami sono i vampiri, che prendono forma di donna bellissima per carpire quanti più uomini possibile:

Naturalmente c’era sempre la Skogsra, la strega della foresta, che cercava ancora di trascinare la gente nel più profondo dei boschi, per farle smarrire la strada. Qualche volta chiamava con un gorgheggio d’uccello, qualche volta con dolce voce di donna. Molti dicevano che era una vera donna, molto cattiva e molto bella. Se si incontrava nella foresta, si doveva scappare via subito; se si voltava la testa una sola volta a guardarla, si era perduti. Non ci si doveva mai sedere sotto un albero nella foresta quando la luna era piena. Altrimenti sarebbe venuta a sedersi al vostro fianco e vi avrebbe gettato le braccia intorno al collo, come una donna quando vuol essere amata. Lei non voleva altro che succhiarvi il sangue dal cuore.[11]

Si tratta della tipica descrizione del vampiro, che contiene delle caratterizzazioni che rimandano alla tradizione classica (si pensi alla Medusa, il cui sguardo bastava a pietrificare).

In complesso, Axel Munthe descrive una Lapponia molto conosciuta al grande pubblico, a quel pubblico che può avere letto i resoconti dei viaggiatori di fine Ottocento, che circolano abbondantemente soprattutto tra gli intellettuali anglosassoni e francesi; il medico scrittore, durante il viaggio, rimane affascinato di fronte all’abbigliamento di Ristin, tutto a base di pellicce di renna, dalla tunica ai gambali e alle scarpette. La tipica cintura di cuoio sostiene il coltello, la borsa per il tabacco e la ciotola, oltre a una piccola ascia per tagliare il legno. La “civiltà” moderna si scontra con l’“arretratezza” lappone: in una giornata di nebbia fitta, Ristin accende il fuoco con una semplice esca, mentre Munthe contempla sconsolato la propria scatola di fiammiferi completamente fradicia.

Un’altra sconfitta alla civiltà fu quando volli calzare un paio di calze asciutte e mi accorsi che il mio tascapane impermeabile della miglior marca londinese era inzuppato completamente e che tutti gli oggetti di Ristin nella sua laukos fatta in casa di scorza di betulla erano asciutti come fieno.[12]

La permanenza di Munthe in terra sami non è molto lunga: accortosi, leggendo una pagina del Times, dell’emergenza colera a Napoli, egli decide immediatamente di lasciare le fredde contrade nordiche per “fare un lungo balzo” e ritrovarsi nel caldo asfissiante napoletano.

Rimane un breve aneddoto, come un cameo che esemplifica tutta la filosofia di vita sami:

Dissi a madre Kerstin quanto avessi ammirato il suo bell’abito nuziale. Sorrise e rispose che sua madre l’aveva indossato prima di lei per il matrimonio. Dio solo sapeva quanti anni prima.
“Ma davvero lasciate aperto lo herbre[13] durante la notte?” domandai.
“Perché no?” disse lo zio Lars. “Non c’è nulla da mangiare nello herbre; ti ho detto che non è facile che i lupi e le volpi portino via i  nostri vestiti.”
“Ma qualcun altro potrebbe portarli via; lo herbre è isolato nel bosco, lontano più di cento metri dalla casa. Soltanto quella coperta di pelle d’orso ha gran valore. Qualunque antiquario di Stoccolma sarebbe felice di pagare qualche centinaio di riksdaler per l’abito nuziale di vostra moglie.”
I due vecchi mi guardarono con evidente sorpresa.
“Ma non hai sentito quando ti ho detto che ho ucciso quell’orso da solo e tutti i lupi anche? Non capisci che è l’abito nuziale di mia moglie e che l’ha avuto dalla sua stessa madre? Non capisci che tutto ci appartiene, finché saremo vivi, e quando morremo andrà a nostro figlio? Chi dovrebbe portarcelo via? Cosa vuoi dire?”
Lo zio Lars e madre Kerstin mi guardarono, sembravano quasi contrariati dalla mia osservazione. Ad un tratto zio Lars si grattò la testa con un’espressione di furberia nei suoi vecchi occhi.
“Ora capisco a cosa vuol alludere,” disse alla moglie ridendo, “a quella gente che essi chiamano ladri!”[14]

Alessandra Grillo

Notes de pied de page

  1. ^ Articolo pubblicato in Il Polo, Fermo, Vol. III, 2007, pp. 19-26.
  2. ^ Axel Munthe, La Storia di San Michele, Milano, Garzanti, 1997, p. 114.
  3. ^ Axel Munthe, op. cit., pp. 122-123.
  4. ^ Ivi, p. 116.
  5. ^ Ivi, pp. 114-115.
  6. ^ Ivi, pp. 117-118.
  7. ^ Ivi, pp. 118-119.
  8. ^ Ivi, pp. 139-140.
  9. ^ Ivi, pp. 116-117.
  10. ^ Ivi, p. 129.
  11. ^ Ibid.
  12. ^ Ivi, p. 125.
  13. ^ Magazzino dove i Lapponi stoccano pelli e abiti, ma non cibi (nota nostra).
  14. ^ Ivi, pp. 128-129.