L’ALTRO E L’ALTROVE TRA VIAGGIO E TRADUZIONE

TRANSLATION = traslazione e traduzione
L’altro e l’altrove tra viaggio e traduzione

 

Con il termine inglese translation si indica sia la traduzione che la traslazione nello spazio, ovvero lo spostamento da un luogo ad un altro. Allo stesso modo in cui un viaggiatore si sposta per scoprire nuovi luoghi, nuovi mondi, e soprattutto nuove culture, così la traduzione è un passaggio da una lingua ad un’altra ma soprattutto dalla cultura della lingua di origine a quella del paese di arrivo. Queste due accezioni dello stesso termine sono accomunate dall’idea di movimento, di passaggio, ma anche dall’idea di altro ed altrove tipiche della scrittura di viaggio e della traduzione. Ma cosa avviene quando a spostarsi è un uomo o una donna, un viaggiatore o una viaggiatrice, con la propria lingua ed il proprio bagaglio culturale ?

Sia la letteratura di viaggio che la traduzione raccontano o permettono di leggere luoghi stranieri, rendendoli fruibili da altri. La letteratura di viaggio, per sua natura, deve necessariamente valicare i confini, attraversare la frontiera per scoprire cosa c’è oltre, studiare e confrontare la nuova cultura con la propria. Dopodiché il viaggiatore-scrittore traduce e racconta la realtà altra in un testo di viaggio. Ma il momento più importante di questo viaggio e di questo racconto resta l’arrivo in un altrove sconosciuto, l’incontro con l’altro. Il traduttore, come il viaggiatore che racconta la propria esperienza, valica i confini tra le culture e li rende accessibili a tutti, aiutando a comprendere meglio cosa succede quando si oltrepassano le frontiere di una lingua. Egli può essere definito come intralingual traveller:

S/he must horizontally (going to different regions, countries where the mother tongue is spoken) and vertically (historical sense of language, awareness of detail of place) explore the complex spread of language. The dilemma for the translator is the eternal dilemma of the travel writer. Travel takes time[1].

Il traduttore si muove orizzontalmente e verticalmente, attraverso i luoghi in cui si parla la lingua madre ed attraverso la storia della lingua e del luogo in cui viene parlata: la sua conoscenza deve essere al pari di quella di un vero classico viaggiatore colto, che studiava la lingua del paese da visitare e metteva nel proprio bagaglio le principali letture utili a conoscere i luoghi da visitare, per riuscire a comprendere la storia e la cultura che avrebbe incontrato e conosciuto.

Il viaggiatore, come il lettore del libro tradotto, entrano in una nuova dimensione, quella del viaggio materiale e quella del viaggio immaginario, e quindi un viaggio nello spazio ed un viaggio nel tempo. Leggere un libro di viaggi è come compiere un viaggio nel testo, al tempo in cui si era compiuto quel viaggio narrato. Ma soprattutto è un viaggio attraverso una cultura. Il viaggiatore-scrittore deve segnalare il momento in cui, alla partenza, si attua il distacco dalle cose familiari: nel testo questo momento si identifica con il passaggio all’interpretazione della nuova cultura.

C’è un attimo in cui il viaggiatore si trova smarrito, non è più niente, non è nessuno, ha perso la sua identità, non ha più una cultura e non sa dove sta andando.

Così Washington Irving riassume il momento del distacco dal noto, l’attimo in cui ancora non è stata raggiunta la meta, non è stata valicata la frontiera, non si sa cosa ci aspetta nell’altrove. Partire significa abbandonare uno stato, una condizione per cercarne un altro; lasciare qualcosa di sé alla ricerca di una rinnovata identità. Si parte per cambiare, per rinnovarsi, ci si allontana dalle proprie abitudini per far morire una parte di sé ed al tempo stesso per permettere alla nuova di nascere, per tornare cambiati, senza dubbio migliorati. Questo distacco è ancora più evidente tuttavia all’arrivo, quando il viaggiatore pone il piede nella nuova terra e parla con l’altro: la lingua è diversa e per quanto egli possa averla studiata, il contrasto è forte, evidente: l’esotico diventa subito identificabile. La scrittura di viaggio può essere interpretata anche come il desiderio umano di voler comprendere il mondo attraverso il linguaggio: una sorta di dominio, se vogliamo. Per il viaggiatore la necessità di imparare le lingue per viaggiare è fondamentale, ma per quanto egli le possa studiare, si troverà sempre e comunque in una situazione di diversità, come racconta Alphonse de Lamartine nei suoi Mémoirs del 1811: dopo tre mesi di studio della lingua italiana attraverso la lettura di autori quali l’Ariosto, il Tasso e l’Alfieri

Per quanto riguarda la lingua, la parlavo correntemente, anche se con un accento latino, grazie a Dante, Petrarca, Alfieri e Monti, dei quali avevo già letto e riletto i versi. Ma dall’accento mi si poteva prendere per un toscano di biblioteca che non era mai sceso per strada a parlare con i vivi e che usava costruzioni e pronuncia dei morti. Più che un uomo ero un volume.

Ed anche la descrizione di una realtà diversa dalla nostra, fatta nella nostra lingua, diventa difficile, non rende l’idea di quanto gli occhi stiano ammirando e comprendendo. Madame de Staël, nel saggio De l’esprit des traductions (1816), afferma che la nostra lingua ci permette di esprimere al meglio le emozioni che si provano: « il est naturel de préférer la langue qui vous rappelle les émotions de votre propre vie, à celle qu’on ne peut se retracer que par l’étude ». Così la descrizione di un paesaggio inglese fatto, ad esempio, in francese sarà approssimativa, non renderà completamente quell’altrove, perché il viaggiatore-scrittore sarà costretto a pensare ai codici linguistici con cui rendere quella realtà e non potrà godersi il paesaggio, non potrà rendere al massimo i sentimenti che prova. E di conseguenza il lettore del suo resoconto di viaggio leggerà una realtà filtrata. Il viaggiatore americano Paul Theroux in The Kingdom by the Sea, in cui racconta il suo viaggio in Inghilterra ed Irlanda del Nord, afferma di essere stato avvantaggiato nel poter descrivere un paesaggio nella sua stessa lingua madre:

Writing about a country in its own language was a great advantage, because in other places one was always interpreting and simplifying. Translation created a muffled obliqueness – one was always seeing the country sideways. But language grew out of the landscape – English out of England, and it seemed logical that the country could be accurately portrayed in its own language.

Le moderne teorie della traduzione dicono che, per ottenere una buona traduzione, è necessario interpretare un testo e renderlo nel modo migliore e maggiormente comprensibile nell’altra, mantenendo toni e colori locali per riuscire a calarsi meglio in quella cultura, senza renderla uguale alla nostra. Già Madame de Staël consigliava di non seguire il modello dei traduttori francesi che davano a tutto ciò che traducevano un colore francese, altrimenti non si riuscirà a cogliere la realtà e l’originalità della cultura altra:

[…] pour tirer de ce travail un véritable avantage, il ne faut pas, comme les François, donner sa propre couleur à tout ce qu’on traduit; quand même on devroit par là changer en or tout ce que l’on touche, il n’en résulteroit pas moins que l’on ne pourroit pas s’en nourrir; on n’y trouveroit pas des alimens nouveaux pour sa pensée, et l’on reverroit toujours le même visage avec des parures à peine différentes[2].

Nella scrittura di viaggio, ad esempio, spesso si leggono degli errori di trascrizione di nomi di luoghi, persone o cose: questo viene lasciato anche nelle traduzioni per dare maggiore credibilità al testo, indica l’errore della pronuncia, la difficoltà di comprensione della lingua a cui il viaggiatore è dovuto andare incontro.

John Urry e Chris Rojek, nella loro introduzione a Touring Cultures: Transformations of Travel and Theory[3], sottolineano la centralità del viaggio nella costruzione di una cultura. Secondo la loro tesi i viaggi culturali ed il turismo colto hanno giocato il loro ruolo nella costruzione delle culture nazionali. Michael Cronin aggiunge a questa idea l’importanza del ruolo del linguaggio oltre che del viaggio nella costruzione di una cultura: se riflettiamo sul fatto che molti luoghi sono diventati famosi grazie alla letteratura, allora queste mete di pellegrinaggio turistico acquistano un senso attraverso il testo e quindi attraverso il linguaggio. Nasce il viaggio letterario, un viaggio nuovo, che dà origine ad una nuova percezione dei luoghi, e lo fa in un momento di omogeneizzazione del viaggio.

Se mai siamo dei viaggiatori, siamo dei viaggiatori letterari. Un’associazione o un riferimento letterario possono entusiasmarci quanto una pianta o un animale raro[4].

Il viaggiatore, così come il lettore, si muovono in una geografia parallela, in una sorta di viaggio nel tempo più che nello spazio, alla ricerca di un genius loci che abitava quei luoghi e che viene rievocato attraverso reminiscenze letterarie. E’ qui che il viaggio ed il linguaggio si incontrano: il viaggio letterario diviene la zona di contatto tra i due elementi ed è grazie alla diffusione di un testo letterario che cresce l’interesse verso di esso e verso i luoghi in esso descritti. In questo processo ha un ruolo determinante la traduzione: “La traduzione è il mezzo per appropriarsi di una grande tradizione universale di geni, nella quale l’italiano Dante sta fianco a fianco con il greco Omero e l’inglese Shakespeare”.

Afferma Matthews Arnold, ed è infatti proprio grazie alle traduzioni che i testi si sono diffusi, sono stati apprezzati anche all’estero e sono nati gli itinerari letterari. Tra i primi pellegrinaggi laici si pensi a Vaucluse ed alle visite ai luoghi petrarcheschi che nel ‘600 si proponevano già come escursioni dei pellegrinaggi religiosi nel sud della Francia. Si pensi ancora al successo che riscosse nell’800 la Divina Commedia tradotta solo allora interamente nelle principali lingue, che dette origine a numerosi saggi e studi, ma soprattutto, a partire dalla prima metà dell’Ottocento, dette origine ai viaggi letterari sulle orme di Dante[5], ovvero a quei viaggi in Italia alla ricerca dei luoghi in cui egli visse, soggiornò e rese famosi nel Poema. E’ naturale che i luoghi letterari abbiano subito nel tempo dei cambiamenti ed i primi diari di viaggio non siano più conformi al paesaggio originale. Allo stesso modo una buona traduzione, col passare del tempo necessita di essere rielaborata alla luce dei cambiamenti linguistici avvenuti nel tempo. Ma sia il testo di viaggio che la traduzione rivestono un’importanza rilevante, per la storia della lingua e per la storia di una cultura e credo che sia veramente significativo il fatto che nei vecchi manuali di letteratura comparata i diari, gli epistolari e le traduzioni venivano considerati “intermediari”, ovvero “punti di contatto tra diversi insiemi culturali[6]”.

Raffaella Cavalieri

Notes de pied de page

  1. ^ Cronin, Michael, Across the Lines: Travel, Language, Translation, Cork University Press, 2000, p. 19.
  2. ^ Madame De Staël, De l’esprit des traductions, in Oeuvres Complètes de Mme la baronne de Staël, Paris, Treuttel and Würtz, 1820-1821, p. 387-399.
  3. ^ Rojek, Chris e Urry, John, “Transformation of Travel and Theory” in Touring Cultures: Transformations of Travel and Theory, London, Routledge, 1997.
  4. ^ Chatwin, Bruce e Theroux, Paul, Patagonia Revisited, trad. it. Ritorno in Patagonia, Adelphi, Milano, 1985, p.9.
  5. ^ Cavalieri, Raffaella, Il viaggio dantesco. Viaggiatori dell’Ottocento sulle orme di Dante, Roma, Robin Edizioni, 2006.
  6. ^ Nucera, Domenico, “I viaggi e la letteratura”, in Introduzione alla letteratura comparata, a cura di Armando Gnisci, Milano, Bruno Mondadori Editore, 1999, p. 118.